
Bonaventura, la Grazia e l’euristica del discorso
di Lorenzo Centini
Novembre 2025 – Lottiamo quotidianamente con il problema di accordare la nostra fiducia a enunciati dei quali non possiamo essere certi. Non si tratta (solo) di una questione contemporanea: anche i filosofi medievali erano preoccupati dalla necessità di concedere un credito provvisorio a affermazioni incerte. Bonaventura è fra questi. La fonte alla quale egli si affida per avvicinarsi al problema è la fede in Dio e nella sua volontà. Ma come possiamo credere in qualcosa che non siamo in grado di dimostrare? Proviamo a ripulire Bonaventura della veste teologica e a vedere come concepire il coinvolgimento emotivo e volitivo quando affermiamo qualcosa. Potremmo scoprire che un approccio speculativo troppo ristretto al problema della verità è destinato all’irrilevanza. Superarlo è necessario per garantire un buon governo delle nostre valutazioni in un’ampia gamma di situazioni: dalle chiacchiere quotidiane alla formazione dell’opinione pubblica e politica.
About Lorenzo Centini
Lorenzo Centini is a PhD student in Charles University, Prague. His main interests are Franciscan philosophy in particular regarding psychological aspects and relation between theology, philosophy and religion. Based in somewhere between Tuscany and Prague.
Per brevità e taglio dell’articolo si è preferito omettere puntuali riferimenti all’opera di Bonaventura. Lo scopo principale del breve qua sotto è stimolare un dibattito. In generale, Bonaventura riflette sulla nozione di fede e grazia connesse nella Distinctio 23 del terzo libro dei Commenti alle Sentenze. Il testo (in latino) è consultabile a questo link.
Comunemente la filosofia cristiana viene percepita come puntellata da elementi non solo non pienamente razionali ma apertamente irrazionali. Quando i filosofi cristiani invocano intrusi teologici quali la Grazia, la prima reazione è di valutarlo come una forma di sostituzione di processi di deduzione e di attribuzione di valore. Se è vero che la teologia è un contenuto e un metodo, non è inutile provare a portare avanti una secolarizzazione di queste applicazioni. Vedere, cioè, se sia possibile separare dall’applicazione ciò che si riferisce al livello pertinente a Dio e ciò che invece si riferisce ad un processo intellettuale. Un tentativo del genere può essere fatto con l’intrusione della Grazia nel processo conoscitivo. Nell’articolo proveremo a secolarizzare la teoria di Bonaventura da Bagnoregio (1217-1274) nel suo Commento alle sentenze di Pietro Lombardo. Il problema esaminato da Bonaventura è in che modo la Grazia permetta all’essere umano di credere vere alcuni articoli di fede. Delineiamo il problema e presentiamone i contorni:
1. L’intelletto è una facoltà incaricata (anche) di attribuire un valore di verità alle proposizioni che gli vengono offerte
a) L’attribuzione del valore di verità deve essere interpretato come il riconoscimento di relazioni causali o di implicazioni – attribuisco il valore ”vero” alla proposizione ”1+1=2”
i. Dopo l’attribuzione di valore l’intelletto può assentire alla stessa proposizione. L’assentire è la condivisione intima della verità della proposizione – attribuisco il valore vero alle regole di derivazione. Dopo averle capite e applicate, assento alle stesse
Assentire o meno non introduce alcuna modifica alla proposizione. La proposizione, infatti, rimane identica. Cambia l’etichetta che l’intelletto attribuisce alla proposizione. In particolare, l’asserzione introduce due livelli ulteriori all’attribuzione di vero:
1. La verità della proposizione asserita è personale, vale a dire che l’intelletto instaura con la proposizione un rapporto individuale – Quando derivo correttamente una funzione non posso smettere di riconoscere tale derivazione come vera.
a) La verità asserita, pertanto, è incontrovertibile, almeno fino a che il rapporto personale con l’attribuzione della verità a questa proposizione permane – continuerò a mantenere la stessa attribuzione di verità alla proposizione fino a quando non attribuirò un diverso valore di verità alla stessa proposizione. In quel caso, una nuova asserzione dovrà essere riapplicata.
Conviene subito fare alcune annotazioni sui due processi. Il processo di attribuzione è immanente e sempre giustificabile. Che sia falso o vero da un punto di vista esterno, è sempre possibile giustificare un’attribuzione invocando relazioni concrete nel mondo presente. Il processo di asserzione, è giustificabile perché immanente:
Esempio di attribuzione: Il motivo per cui attribuisco l’etichetta di ”vero” alla proposizione 1+1=2 è che se affianco due unità e le conto di fila ottengo la somma 2 – Posso attribuire alla mia attribuzione l’etichetta di verità (giustificazione) perché collima con qualcosa di condiviso e osservabile nel mondo reale (immanenza).
Esempio di asserzione: Il motivo per cui asserisco che questa derivazione è corretta è che l’ho realizzata io, consapevolmente, e che rispetta i risultati attesi – Posso asserire questa derivazione perché è una mia realizzazione applicando le regole algebriche (giustificazione e immanenza).
Attribuzione e asserzione non sono passaggi necessariamente successivi. Lo sono solo in maniera contingente, giacché attribuiamo sempre un valore di verità ad ogni proposizione che ci viene presentata. Nulla vieta, però, che si possano avere attribuzioni senza asserzioni – per esempio, quando vengo informato di un dato. Sulle asserzioni in assenza di attribuzioni, invece, torneremo alla fine dell’articolo.
Come definire, allora, gli articoli di fede, cioè l’oggetto su cui si esercita l’intelletto nel caso in cui stiamo parlando? Gli articoli di fede sono una serie di proposizioni collegate tra loro, in modo che nessuna di queste possa essere considerata falsa separatamente. Per comodità fingeremo che l’articolo sia uno e integro: la modalità di applicazione e il processo gnoseologico sono i medesimi e questo ci risparmierà di dover esplorare i casi di asserzione solo a questo o a quella proposizione. Si noti, ed è questa l’unica differenza irriducibile, che non è possibile secolarizzare – che gli articoli di fede non sono sottoposti a revisione esterna. Nel caso sopracitato la mia asserzione vive due vite parallele: una vita interiore (come credenza) e una vita esteriore (come fatto). I due stati sono comunicanti ma non dipendenti. Se pure la derivazione che ho compiuto fosse falsa, essa manterrebbe comunque i due livelli ulteriori di verità che abbiamo visto. La possibilità, tuttavia, di giudicare nell’immanenza se la mia giustificazione sia corretta, rende possibile un processo di asserzione, perdita e riasserzione.
Nel contesto bonaventuriano questo non è possibile. L’unica modalità possibile di asserzione degli articoli di fede è la credenza. Ogni possibile giudizio immanente è escluso: non tanto da condizioni di impossibilità ontologica ma da considerazioni morali. Se, infatti, l’essere umano potesse giudicare le sue asserzioni non vi sarebbe alcuna meritorietà in ciò che crede, esattamente come, sostiene Bonaventura, non vi è alcun merito nell’asserire che la somma degli angoli interni di un triangolo è 180 gradi.
Possiamo, tuttavia, provare a de-teologizzare questa condizione di credenza. Nel contesto bonaventuriano la revisione esterna è preclusa perché inutile: la garanzia ontologica di Dio la rende tale. Immaginiamoci, invece, un contesto nel quale la revisione esterna è preclusa perché resa impossibile da limiti della conoscenza del soggetto:
Mi trovo in montagna e, per caso, metto a bollire dell’acqua per farmi la pasta. Noto che l’acqua bolle prima di quanto non faccia nella mia esperienza comune. Ho una rudimentale alfabetizzazione in fisica, e quindi so in cosa consistano il riscaldare l’acqua e il legame tra temperatura e punto di ebollizione. Non so, tuttavia, che la pressione atmosferica gioca un ruolo in questo.
In questo contesto ho un limite inferiore, che sancisce le spiegazioni che non posso invocare perché escluse fin da subito, e un limite superiore, cioè le spiegazioni che non posso invocare non possedendone una possibile giustificazione. Il limite inferiore è dato dalla mia rudimentale conoscenza della fisica che mi porta ad escludere motivazioni fuori dalla fisica. Mi immagino che qualcosa di fisico influisca sul punto di ebollizione. Il limite superiore – vale a dire delle spiegazioni che non posso giustificare – sono tutte le ipotesi che posso apportare.
Tra le ipotesi che posso apportare c’è, probabilmente, anche quella della pressione, insieme forse alla salinità dell’acqua in montagna, il materiale di questa particolare pentola, eccetera. Tuttavia, nel contesto in cui mi trovo, una vale l’altra. Non ho ulteriori proposizioni da invocare per giustificare la mia spiegazione. Qualsivoglia spiegazione che io possa dare rimane un’ipotesi, cioè una spiegazione a sostegno della quale non posso portare alcuna vera proposizione condivisa. Lo status di ipotesi è, pertanto, un’asserzione a cui non posso attribuire un valore di verità, ma solo di probabilità.
L’ipotesi è dunque un’asserzione senza attribuzione. Poter attribuire solo un valore di probabilità ad un’asserzione può non costituire un problema di per sé. Costituisce invece un problema dove essa sia oggetto in un secondo processo di attribuzione e possa essere invocata come spiegazione per un’attribuzione. In quel caso le vie di uscita sono due: o l’ipotesi viene comunque considerata sufficiente per un’attribuzione oppure si ritiene che solo un’ipotesi esternamente revisionata possa essere considerata legittimamente una spiegazione. A questo punto il processo di validazione di una spiegazione è già divenuto sociale, necessariamente un gioco a tre: colui che invoca la spiegazione, colui che la vaglia e la revisione esterna, dove possibile. Il carattere negoziale del processo di validazione è scalare, ma si basa sempre sull’assenza di una revisione esterna, o perlomeno su una revisione esterna relativamente fondata.
Quando manchi questa possibilità di revisione ma il processo negoziale accetti la ipotesi come accettabile, non si sta facendo altro che produrre una asserzione momentanea. Come mai il processo negoziale tende ad assentire momentaneamente a queste ipotesi? In parte perché questo permette di proseguire in una linea argomentativa; se accettiamo tutti che l’ipotesi della pressione possa essere considerata un’asserzione e quindi adoperata per ulteriori attribuzioni, possiamo, per esempio, farci un’idea sulle capacità polmonari delle popolazioni andine. Quale che sia il motivo di questa asserzione momentanea, essa avviene per un motivo esterno alla logica di attribuzione della verità. L’asserzione dell’ipotesi è, infatti, indebita se la si considera sul piano strettamente veritativo. Come si è visto, infatti, l’asserzione non modifica in niente l’attribuzione di verità della proposizione: essa rimane tale e quale a prima. L’ipotesi, anche quando sussunta come spiegazione, rimane un’ipotesi. L’ipotesi assentita non è, però, un’ipotesi presa per buona. Questo vale per un dibattito laico come vale per Bonaventura. L’ipotesi presa per buona può sempre essere contraddetta senza essere revisionata esternamente. L’ipotesi assentita, invece, in quanto assentita, può solo essere revisionata. Fino a che non viene revisionata, essa rimane valida. Vediamo un esempio:
Ipotesi ”presa per buona”: Se la pressione atmosferica influisce sulla temperatura a cui bolle l’acqua come mai quando ci sono vortici di alta e bassa pressione l’acqua bolle sempre alla stessa temperatura?
Ipotesi assentita: Dato che la pressione atmosferica influisce sulla temperatura, i vortici di alta e bassa pressione influiscono sulla temperatura a cui l’acqua bolle?
La differenza non è, ovviamente, solo linguistica – anche se il modo di esposizione riflette questa differenza. Nel primo caso prendo per buona l’ipotesi solo per demolirla. Ciò che faccio, operativamente, è non considerare che l’ipotesi potrebbe essere falsa. Nel secondo caso, invece, assento, cioè faccio mia, l’ipotesi, per poter fare una attribuzione su una frase connessa – o, in codesto caso, fare una domanda. Operativamente, nel secondo caso, sto assentendo ad una proposizione considerando che sia vera, non soltanto evitando di considerare che sia falsa. Linguisticamente questo equivoco è curiosamente visibile. Una frase come: Dato che la pressione atmosferica influisce sulla temperatura, come mai quando ci sono vortici di alta e bassa pressione l’acqua bolle sempre alla stessa temperatura? È ai limiti della scorrettezza. Infatti dato che denota una ipotesi assentita, mentre come mai in modo interrogativo denota un dubbio, cioè una ipotesi di cui non si è concessa la verità, ma solo (in questo caso strategicamente) una non-falsità.
Tornando, finalmente, a Bonaventura. La Grazia è dunque una capacità che ci rende capaci di asserire a proposizione per cui non possiamo offrire una giustificazione, tramite una spiegazione, nei riguardi della nostra ed attribuzione di verità. Questa capacità non è disponibile alla nostra mente in quanto attributrice logica di etichette. Nessuno di noi, salvo autosuggestioni o aperte menzogne, può essere sicuro di qualcosa di cui non è sicuro. La sicurezza, che è il correlato euristico della asserzione, viene garantita da un atto esterno alla mente attributrice. Qui le strade devono, di nuovo, dividersi. Per Bonaventura questo è un atto ontologicamente necessario per poter asserire delle proposizioni di cui dobbiamo esser certi in vista di un fine ontologico che è molto più importante di qualsiasi attribuzione di verità – cioè la salvezza. Nel caso laico e deteologizzato che è stato qui esposto – e in cui ci troviamo non poche volte quando costruiamo teorie sul mondo che ci circonda – viene fatta per il bene di qualcos’altro, spesso per completare un processo euristico.
Il processo di ricerca della verità è un processo che ha molto a che fare non solo con la verità ma anche con il nostro investimento emotivo. Spesso la realtà ci spinge a recludere questo investimento nel puro ambito dell’autoinganno o della propaganda; esso è, invece, molto più diffuso e sottile. La filosofia cristiana può offrirci un piccolo spazio di riflessione per testare sull’essere umano, come emotività, giudizio intellettuale e ragionamento siano in continuità tra loro.
©️Lorenzo Centini | “Bonaventura, la Grazia e l’euristica del discorso.”, IPM Monthly 4/11 (2025).
