
Filologa e matematica. Il percorso formativo di Margherita Fantoli nelle Digital Humanities
By Nicolás Lázaro
November 2022 – This month, we interview Margherita Fantoli, who leads many projects in the Digital Humanities at KU Leuven. During the interview, she told us about her interests, occupation and current projects. Margherita gave us some insights about her work as a digital humanist and the tools she uses. The conversation also expanded on Margherita’s training from her beginnings as a philologist and mathematician to her professional development in the Digital Humanities. The short interview with Margherita will let you to know more about Margherita, her personal and academic story, the projects she is carrying and – of course – those which she would like to develop.
About Margherita Fantoli

Margherita Fantoli is Assistant Professor (tenure track) of Digital Humanities at the Faculty of Arts of KU Leuven. She teaches two courses in the Advanced Master of Digital Humanities (“Linked Data Scholarship” and “Introduction to Digital Humanities”). Margherita is mostly working on the application of computational methodologies to Latin.
To know more about Margherita and her work, you can visit her website and her KU Leuven profile.
L’Intervista
L’intervista è stata condotta il 17 giugno 2022.
Nicolás Lázaro: Il campo delle Digital Humanities è relativamente nuovo e immagino che tu abbia iniziato il tuo percorso accademico partendo da altre discipline. Quale è il tuo background universitario?
Margherita Fantoli: La mia formazione accademica parte da Pisa, dove ho studiato Lettere Classiche, cioè latino e greco. Si tratta di un percorso formativo molto tradizionale e di carattere spiccatamente filologico-letterario, dove gli strumenti digitali non sono un elemento caratterizzante della disciplina. Tuttavia, durante i miei studi per la laurea triennale ho avuto la possibilità di familiarizzarmi con LateX grazie ai miei lavori di ricerca e produzione di edizioni critiche di testi matematici latini. Questo è stato il primo contatto con le Digital Humanities anche se, a dire il vero, all’epoca neppure sapevo che si chiamassero Digital Humanities!Si è trattato di un incontro abbastanza fortuito: il lavoro critico sui testi che stavo editando era in stretta collaborazione con dei matematici e mi sono trovata ad usare il programma che gli scienziati normalmente utilizzano, ossia LateX.
NL: Come sei arrivata alle Digital Humanities?
MF: Dopo la mia laurea, ebbi l’opportunità di partecipare al programma Erasmus in Belgio, dove entrai in contatto con il Laboratoire d’Analyse Statistique des Langues Anciennes (LASLA) dell’Università di Liegi. Il Laboratorio ha una lunga tradizione di studio dei testi classici tramite l’uso di strumenti digitali e statistici – un ambito in cui LASLA ha svolto un ruolo pionieristico a partire dagli anni ’60, contribuendo in modo sostanziale allo sviluppo delle Digital Humanities. Dopo una prima serie di collaborazioni, il direttore del laboratorio, Dominique Longrée, mi chiese se fossi interessata a un possibile dottorato presso il centro di ricerca, cosa che accettai. Fu un’esperienza formativa davvero unica. Infatti, uno dei miei più grandi interessi è sempre stato lo studio della storia della scienza e, in particolare, della matematica. A Liegi, ebbi la possibilità non solo di fare ricerca e ricevere un training fondamentale in strumenti digitali durante il dottorato, ma anche di iscrivermi a un bachelor in matematica, con un minor in informatica (con molti esami di programmazione). Grazie a questi studi, ho ricevuto una formazione dettagliata e profonda in programmazione e metodi quantitativi che, tuttavia, non erano direttamente applicati alle Digital Humanities. Come puoi immaginare, il corso di studi era focalizzato sull’utilizzo di strumenti matematici in contesti molto diversi dalle Digital Humanities – per esempio, la programmazione di videogiochi. Mentre i miei colleghi si esercitavano in applicazioni commerciali di strumenti informatici, io stavo scrivendo la mia tesi di dottorato e applicando questi metodi di analisi alla mia ricerca, sebbene ancora non avessi alcun contatto con la più ampia comunità di ricercatori nelle Digital Humanities.
NL: E dopo il dottorato, come è proseguita la tua carriera?
MF: Dopo il dottorato, lavorai per un anno come ricercatrice post-dottorale presso KU Leuven, in Belgio. Le nuove linee guida di KU Leuven prevedevano l’implementazione di una svolta netta nel percorso di digitalizzazione e lo sviluppo delle Digital Humanities e degli studi sull’intelligenza artificiale. Come ricercatrice presso l’istituto di ricerca Lectio, il mio compito era di analizzare come queste nuovi strumenti e metodi potessero essere applicati dai membri dell’Istituto, che include numerosi ricercatori e docenti in studi umanistici di KU Leuven ed è focalizzato sullo studio della storia intellettuale europea prima dell’epoca moderna.
Lectio include alcuni dei più rinomati specialisti nelle Digital Humanities come, ad esempio, il team di Trismegistos, un impressionante database interdisciplinare di antichistica. Facevano parte dell’istituto anche altri ricercatori che, seppur con minore esperienza, già lavoravano con dei database umanistici e strumenti simili. Il mio principale compito era di proporre dei progetti in cui l’aspetto digitale fosse centrale ed esplorare nuove possibilità che non erano state ancora considerate. Da un lato, i membri di Lectio che già lavoravano delle Digital Humanities erano molto interessati a sviluppare nuovi progetti e possibilità. Dall’altro, molti membri che non avevano un background in Digital Humanities mostrarono un grandissimo interesse per questa disciplina, cosa che portò all’organizzazione di workshop e attività formative dedicate. Infatti, soprattutto tra i giovani ricercatori c’è un grande interesse e anche molta consapevolezza dell’importanza che le Digital Humanities hanno nello studio delle discipline umanistiche. Tuttavia, non è sempre facile trovare il modo migliore per ricevere un buon training in questi metodi o il giusto punto di partenza per la loro applicazione.
In generale, quindi, l’anno scorso è stato il mio primo, vero incontro con il mondo delle Digital Humanities in quanto dovevo occuparmi di una serie di richieste e attività (ad esempio, edizioni digitali di testi),con le quali non mi ero ancora confrontata direttamente.
NL: Quale è il tuo lavoro oggi come umanista digitale? E quali sono gli strumenti che utilizzi?
MF: Oltre alla ricerca, ad oggi le mie principali responsabilità sono relative alla didattica delle Digital Humanities e alla coordinazione all’interno della Faculty of Arts di KU Leuven. Al momento sto insegnando due corsi, “Linked Data Scholarship” e “Introduction to Digital Humanities”. Rispetto all’attività di coordinazione e di organizzazione all’interno della facoltà, ho recentemente creato un sito web per dare maggiore visibilità alle Digital Humanities all’interno della nostra istituzione.
Allo stesso tempo, il mio lavoro di ricerca continua attraverso l’analisi e la gestione di corpora digitali latini, concentrandomi sia sul lato tecnico, per rendere interoperabili alcuni corpora che già esistono, sia sull’analisi di testi specifici. A tal fine, utilizzo strumenti come HyperbaseWeb, Python, Gephi, Transkribus, Syntactic parsing: UDPipe, UD annotatrix, GitHub, LateX, Openrefine.
NL: Quali sono i tuoi progetti per il prossimo futuro, tra due o tre anni?
MF: Ci sono molti progetti che ho in mente per il prossimo futuro. Sicuramente, uno di quelli a me più cari è lo studio delle menzioni di autori e persone nei testi classici. A gennaio partirà un progetto interdisciplinare (NIKAW) incentrato proprio su questo tema. Mi piacerebbe poi lavorare con immagini, manoscritti, illustrazioni, rappresentazioni, e altri supporti visivi. Infatti, l’archivio storico dell’Università di Lovanio (che comprende fonti dal sedicesimo al diciottesimo secolo) include moltissimi dati relativi a manoscritti, edifici, e illustrazioni di libri che rendono possibile un’operazione di “ricostruzione virtuale” dei luoghi di studio a Lovanio nell’epoca premoderna e della vita di studenti e docenti che vivevano, studiavano e lavoravano in questa prestigiosa istituzione. In questo modo, sarebbe possibile far “rivivere” la storia con un lavoro digitale che integra e fornisce un senso nuovo allo studio dei testi.